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IL FATTO
Sulla parete occidentale esterna del dròmos (nota 1a) che Amedeo Maiuri definì l’Antro della Sibilla compaiono due gruppi di segni verticali che già nell’aprile del 1972 avevano attratto la mia curiosità. Da conversazioni successive con alcuni amici e con Funzionari della Soprintendenza, è emerso che la presenza di tali segni non pare risulti da alcuna pubblicazione concernente gli scavi di Cuma.
Quelli del primo gruppo, a sinistra, hanno in media una lunghezza di circa 10 centimetri, una larghezza di 1,5 ed una profondità di 1.
Questo gruppo [fig. 2], che chiameremo per comodità Calendario A, è costituito da 29 tacche: una prima serie di 20 tacche parallele, disposte su di un’unica linea orizzontale che misura 108 cm., è seguita da una seconda serie, sottostante, di 9 tacche parallele, per una lunghezza di 37,5 cm., allineata a destra. Tale tipo di allineamento lascia presupporre che la serie superiore sia stata tracciata da sinistra a destra e quella inferiore da destra a sinistra, secondo il sistema bustrofedico.
Qualche metro più a destra, in basso, quasi al termine della parete, è presente un secondo gruppo [fig. 3], che chiameremo Calendario B, costituito da 8 segni disposti ad arco, con la concavità rivolta verso il basso, seguito da altri segni di cui 5 nettamente distinguibili, più distanziati fra di loro, disposti lungo una linea leggermente in discesa verso destra, per un probabile totale di 13 segni. La perplessità sul numero di queste ultime incisioni deriva dal fatto che in tale zona della parete, deteriorata dal tempo, sono visibili anche altri segni, forse casuali, che potrebbero essere correlati col gruppo di 5.
Nell’estate del 1995, e precisamente la mattina dell’11 luglio, mi sono recato con un giovane amico, Raffaele Iacente, sul luogo, per effettuare disegni e fotografie.
Al termine dei rilievi, durante una passeggiata dentro lo stesso dròmos, il giovane Raffele Iacente, dando segno di un notevole spirito di osservazione, si accorgeva che un ulteriore gruppo di 13 segni [fig. 4]era presente all’interno di uno dei corridoi laterali che mettono in comunicazione il corridoio con l’esterno, verso il mare, e precisamente sulla parete settentrionale, ma ad una considerevole altezza.
A destra delle tacche si presenta uno schematico, vasto disegno fusiforme [fig. 5]. Chiameremo il tutto: Calendario C.
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ANTICHI CALENDARI
La prima e più logica suddivisione del tempo è stata, per l’uomo primitivo, il giorno, scandito dall’alternarsi della luce e del buio. Poi, in un momento imprecisato del Paleolitico, lo sguardo scoprì e riconobbe un grande orologio e calendario naturale: la Luna.
Osservò le sue fasi: Luna crescente, piena e calante. In seguito l’astro notturno spariva per circa tre giorni per poi ricominciare da capo la stessa misteriosa danza. L’intero ciclo durava poco più di 29 giorni.
Era nato il concetto di mese.
Un concetto legato contemporaneamente alla funzionalità e alla magia. Non fu difficile infatti riconoscere in questo periodo la stessa durata del ciclo ormonale della donna e quindi raggiungere il convincimento che tra la Luna e la Donna ci fosse una precisa correlazione magico-funzionale.
Notevoli tracce di ciò permangono nell’analisi etimologica e semantica di alcuni termini che derivano tutti dalla medesima radice indoeuropea me con significati afferenti la misurazione, non solo del tempo. Da tale radice provengono i termini italiani mese (latino, mensis), ma anche mestruazione e metro, come d’altra parte i termini analoghi mami e mas (sanscrito), mah (avestico e antico prussiano), manu (lituano), mena (gotico), mène (Luna, greco) e chissà quanti altri (nota 1).
Successivi ragionamenti permisero di stabilire che dopo circa 12 lunazioni le stesse stagioni (con ogni probabilità ancora genericamente divise in stagione calda e stagione fredda oppure stagione piovosa e stagione arida) si ripetevano, sia pure con un certo ritardo.
In realtà il mese sinodico, cioè calcolato sulle fasi lunari, dura 29,53059 giorni (nota 2) e dodici lunazioni si estinguono in un periodo di 356,36708 giorni, ma i nostri antenati calcolavano mesi di 29 giorni interi raggiungendo un totale di 348 (29×12) giorni invece dei circa 365 e un quarto a cui siamo oggi abituati.
Era nato l’anno, anche se un po’ striminzito.
Quando poi nel neolitico si diffuse l’agricoltura (e soprattutto la cerealicoltura) divenne necessario disporre di un calendario più preciso che determinasse con esattezza i giorni della semina e del raccolto.
Quei diciassette giorni di differenza cominciarono a dar fastidio, soprattutto perché di anno in anno si andavano sommando gli uni agli altri costringendo gli studiosi del tempo a continui adattamenti del calendario teorico o sacro alle esigenze agricole. Così qualche osservatore dell’epoca cominciò a calcolare diversamente la durata di una lunazione facendo riferimento al periodico passaggio, più o meno ravvicinato, della Luna accanto a una stella o ad un gruppo di stelle. Questo calcolo portò ad una valutazione di 28 giorni circa, ancora più vicino alla durata del ciclo mestruale. Oggi sappiamo che il mese siderale (o tempo di rivoluzione) è di 27 giorni, 7 ore, 43 minuti e 11,5 secondi, e che 13 lunazioni corrispondono a poco più di 359 giorni, ma a quei tempi non si andava tanto per il sottile: si approssimò il valore a 28 e si calcolò che un anno di 13 mesi doveva durare 364 giorni (28×13).
Niente male, come approssimazione, per un astronomo di parecchie migliaia di anni fa!…
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IL CALENDARIO GRECO
Nella Grecia più antica si adottò l’anno lunare, sostanzialmente derivato da quello babilonese. Esso era costituito da 354 giorni, cioè da dodici lunazioni (I), con una differenza di 11 giorni rispetto a quello solare.
Per evitare uno sfasamento del calendario rispetto alle stagioni, di tanto in tanto e in modo alquanto arbitrario, veniva inserito un tredicesimo mese.
Verso la fine del VI secolo a.C. (ai tempi di Pitagora, tanto per intenderci), nel tentativo di porre rimedio a questo problema, venne adottato un ciclo più regolare, di otto anni, detto octaeteride con il quale si cercò di accordare i due sistemi, quello lunare e quello solare che governava le stagioni. Ciò fu ottenuto inserendo, nel corso di questi otto anni, tre mesi lunari (circa 90 giorni) e portando quindi il totale del ciclo stesso a 2.922 giorni, tanti quanti quelli del ciclo solare (II).
Ancora un secolo e l’astronomo greco Metone, non contento del risultato, impostò (o derivò dai Babilonesi) un ulteriore ciclo, molto più complesso (III), di 19 anni, basato sempre sui mesi lunari di 29 giorni e mezzo, nel corso del quale venivano intercalati 7 mesi supplementari. La prima parte del ciclo era costituita da 12 anni di 12 mesi lunari, la seconda da 7 anni di 13 mesi lunari (III). Così si raggiungeva un totale di 235 mesi sinodici (IV), ognuno dei quali aveva una durata media di 29 giorni, 12 ore, 45 minuti e 57 secondi.
(I) 12 * 29.5 giorni | = 354 giorni | |
(II) 8 anni solari | = 8 x 365,2422 giorni = 2922 giorni circa (2921,9376) | |
Ciclo octaeteride …… | = 8 x 354 giorni + 90 = 2922 giorni | |
(III) … detto appunto Ciclo Metonico | ||
(IV) (12 x 12)+(7 x 13) | = 235 mesi |
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LE ANALOGIE
Sono noti numerosi gruppi di segni analoghi a quelli che inizialmente abbiamo definito Calendari A, B e C e che risultano presenti sin dalla preistoria.
Celebri in particolare: il pendalocco (nota4) [figura 6] in avorio, inciso con tratti e tacche, e la Venere di Laussel [figura 7], nota anche come Dea del Corno (5).
Il pendalocco presenta 14 tacche nettamente tracciate sulla parte convessa, mentre la Venere di Laussel, dalle palesi caratteristiche steatopigie (nota 4a), sostiene con la mano destra un corno che presenta 13 segni simili incisi.
Basterebbe per tutte ricordare il pesce sovrastato da sette segni dell’Abrì du Poisson (nota7) [figura 8] e i tredici punti dipinti con pigmenti al manganese sotto il celebre Cervo di Lascaux [figura 9] (nota 8).
D’altra parte, già negli anni ’70, Alexander Marshak aveva sostenuto che nel Paleolitico Superiore (dal primo Aurignaziano al tardo Magdaleniano) esisteva un sistema di notazioni del tempo basato sull’osservazione delle fasi lunari e che
“il ciclo lunare era analizzato, memorizzato e utilizzato per scopi pratici circa 15.000 anni prima della scoperta dell’agricoltura. In base a ciò si può capire meglio la grande importanza della luna nelle mitologie arcaiche, e soprattutto l’integrazione in un unico sistema, da parte del simbolismo lunare, di realtà diverse tra loro come la donna, le acque, la vegetazione, il serpente, la fertilità, la morte, la ri-nascita” (nota 9).
Il serpente, in particolare, risulta essere un simbolo, quasi un’epifania, della Luna sia perché scompare e riappare (gli antichi credevano che vivesse sotto terra), sia perché, secondo una leggenda riportata da Aristotele e Plinio, avrebbe tanti anelli quanti sono i giorni del mese lunare (nota 10), ma soprattutto perché il suo periodico sgusciar via dalla vecchia pelle, abbandonata come un’ormai inutile spoglia mortale, diede origine alla leggenda della sua immortalità e lo trasformò in un simbolo della rigenerazione periodica, come la Luna, appunto, che regolarmente scompare e rinasce.
Il collegamento della Luna col serpente ci interessa in modo specifico: non a caso nei miti arcaici questo (o un mostro marino a forma di drago, ma comunque collegato con le acque) custodisce la sacra sorgente e la fonte dell’immortalità e quindi della conoscenza e della pre-scienza che permette di scrutare nel presente e nel futuro il volere degli dèi; custodisce infatti l’Albero della Vita, l’Albero della Conoscenza del Bene e del Male, la Fonte della Gioventù e l’oracolo di Delfi, almeno nel periodo preapollineo del mito. Anzi c’è di più: a Delfi, il drago che custodiva l’oracolo della dea Terra che fu poi conquistato da Apollo era un drago-femmina (dràkaina) (nota 11).
Di qui è possibile ipotizzare una serie di correlazioni fra la Luna e i suoi calendari posti nei pressi del luogo ove, secondo la leggenda, profetava la Sibilla. L’aspetto acquatico è rappresentato in prima istanza dal fatto che i calendari sono posti esattamente di fronte al mare e quest’ultimo è probabilmente l’elemento che in maniera più macroscopica è collegato alla Luna: basta pensare alle maree. Ma potrebbe esserci un collegamento più sottile ad unire l’acqua, le profezie, la Sibilla Cumana e la Luna: il serpente. Il serpente è sacro ad Apollo, dio di Cuma e dio delle profezie: non dovrebbe essere impossibile trovare tracce del suo culto nei dintorni del dròmos.
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LE IPOTESI
Ci troviamo ora a disporre del numero 29 che indica i giorni del mese sinodico, correlato al numero 12 che indica i mesi dell’anno corrispondente (29×12=348) e inoltre del numero 28, i giorni del mese siderale, correlato al numero 13, i mesi necessari perché si compia un anno (28×13=364). E poiché 28 è divisibile per 4 ecco che nasce la settimana, intesa come quarta parte del mese, corrispondente all’incirca alla durata di una fase lunare, per esempio dal 1° quarto alla Luna piena. Il che spiega, tra l’altro, i sette segni dell’ Abrì du Poisson.
A questo punto sarebbe semplice attribuire al primo gruppo di tacche descritto a Cuma il significato di mese lunare (sinodico, di 29 giorni); al secondo gruppo (8+5) in basso a destra (con tutte le perplessità sopra manifestate) ed al terzo (assai più sicuro), individuato dal nostro giovane amico, quello di anno (basato sul mese siderale: 28 giorni per 13 mesi, o sul sistema metonico: 13 mesi di 29,5 giorni). La considerazione poi delle condizioni climatiche generali del luogo ci potrebbe spiegare come mai nel secondo gruppo (Calendario B) i primi otto mesi siano raffigurati in maniera diversa dai successivi cinque: sono i mesi caldi, estivi diremmo oggi. E gli altri, benché oggettivamente in numero minore, sono più distanziati, quasi a ricordarci come l’inverno, per breve che sia nel sud d’Italia, ci appaia soggettivamente più lungo, interminabile, a volte.
Qualcuno però (nota 12), alludendo al corno della Venere di Laussel, ha ipotizzato che il numero 13 rappresenti i giorni della Luna crescente e anche questo potrebbe essere preso in considerazione.
Il pendalocco potrebbe rappresentare due successive fasi lunari (due settimane: 14 giorni) ed il corno, trionfalmente mostrato nello splendido bassorilievo della Venere di Laussel, l’anno di 13 mesi.
Lello Riccio, appassionato di numismatica e di storia antica, mi ha fatto rilevare come sul verso della maggior parte delle monete cumane sia rappresentato un mitile ed ha recentemente ipotizzato, nel corso di un’interessante conferenza, un collegamento fra l’oracolo di Cuma e quello di Efira, in Epiro. Qui, l’archeologo professor Sotiris Dakaris (nota 13) ha ritrovato, sul fondo della cosiddetta “Ade”, centinaia di gusci di molluschi insieme a tracce di fuochi, ossa di animali, grosse fave e mucchi di neri grumi di hashish che fanno subito pensare ad un oracolo basato sulla incubatio. La cosa, in sé, non sarebbe molto significativa se la stessa fonte non citasse anche il particolare che i postulanti, una volta ammessi all’interno del Nekromantheion, dovevano lasciare la luce del sole per 29 giorni. Anche il rituale dell’oracolo dei morti mesopotamico descritto da Luciano, nel Menippo, durava 29 giorni, che cominciavano dalla Luna Nuova.
Il che ci riporta al Calendario A di 29 segni.
Ulteriori approfondimenti, che sono ancora allo studio, sembrano ipotizzare una precisa relazione fra il salmone dell’Abrì du Poisson ed il segno fusiforme o ittiforme di Cuma (Calendario C). Il nesso andrebbe ricercato considerando come punto di partenza immagini come quella della Dea-Pesce di Lepenski Vir (sesto millennio a.C.) e dell’anfora ovoidale [figura 10] di Tebe in Beozia (VII secolo a.C.) (nota 14).
Inoltre, una recente analisi di alcune vecchie diapositive in mio possesso, scattate all’interno della Cripta Romana di Cuma, ha messo in luce la presenza di altri due segni incisi sulla parete settentrionale. Il principale dei due si trova a circa metà percorso, quasi al di sotto di uno degli archi di sostegno realizzati posteriormente. Essi ricordano ambedue la parte superiore del segno fusiforme che si trova accanto al Calendario C.
Ulteriori ricerche, da realizzarsi quando sarà di nuovo agibile la Cripta, potrebbero confermarne la somiglianza. Ma in questo caso l’interpretazione potrebbe risultare leggermente modificata. Mentre infatti il fuso del Calendario C può essere assimilato ad un pesce, e quindi correlato al culto della Dea-Pesce, quello della Cripta, anch’esso inciso, come il primo, sulla parete nord ma troppo lontano dall’ambiente esterno e perciò non in vista del mare, sarebbe meglio interpretabile come un utero o ancor più come una vulva e correlato ad una più generica e non meglio definita Dea-Madre, forse Hera, il cui culto è stato importantissimo a Cuma sin dalla fondazione, oppure ad Iside, almeno nella versione romana mirabilmente descritta nell’XI libro dell’Asino d’oro di Apuleio, i cui rituali sono attestati in loco dalla recente scoperta, effettuata da Paolo Caputo, di un santuario a lei dedicato, o addirittura a qualche analoga divinità locale risalente forse al Neolitico e mai tramontata nella fede popolare che, come spesso è accaduto, potrebbe aver effettuato un’opera di sincretismo con le divinità femminili importate dai successivi conquistatori.
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I PASSI FUTURI
Restano da chiarire ancora parecchie cose:
1) La rappresentazione congiunta sulla stessa parete di tufo di un mese sinodico (20+9=29) e di un anno siderale (8+5=13) e poi ancora dello stesso anno siderale posto a meno di cento metri più a sud: una vicinanza che potremmo definire anacronistica, nel vero senso della parola. A meno che l’anno di 13 mesi non rappresenti semplicemente un anno lunare con un mese aggiunto secondo il sistema arcaico oppure quello octaeteride o secondo il ciclo Metonico.
2) Perché tutti e tre i gruppi di segni calendariali sono collocati in prossimità del dròmos un tempo noto come Antro della Sibilla (due all’esterno e il terzo all’interno) e non altrove?
3) E’ possibile che ce ne siano altri nella cosiddetta Cripta Romana, da molto tempo non più aperta alla visita del pubblico per motivi di sicurezza statica, e che alcuni sembrano considerare il vero luogo in cui profetava la Pizia? (vedi aggiornamento in nota 17)
4) E’ confermabile con certezza quanto risulta finora, che cioè queste tacche non siano mai state descritte da nessuno? E se così non fosse, chi ne ha parlato? E dove?
5) Poiché assai spesso la Dea della Fertilità, con cui s’identifica la Luna, è stata raffigurata sotto forma di pesce (nota 14), non ci sarà una relazione fra il salmone dell’Abrì du Poisson, sovrastato dalle sette tacche simboleggianti la durata di una fase lunare, e il Calendario C di Cuma affiancato dal rozzo, ma esplicito segno ittiforme? (vedi aggiornamento in nota 17)
Mi fermo qui osservando che, come di consueto in campo culturale, ogni nuova considerazione, ogni risposta ad un quesito vecchio non fa che porre ulteriori domande ed aprire nuove strade all’esplorazione del Pianeta Uomo.
Franco Ruggieri
Ringraziamenti
La mia gratitudine, per la collaborazione prestatami nel corso di queste ricerche preliminari, va agli amici Prof. Giuseppe Leuci e Dott. Luigi Barbieri per la consulenza geologica e storica, al compianto amico Lello Riccio per quella numismatica, al Dott. Giuseppe Pagliarulo per la consulenza paleolinguistica, a tutti loro per i consigli, i suggerimenti, le indagini bibliografiche e gli incoraggiamenti, ma soprattutto va al giovane Raffaele Iacente, vero scopritore di quel Calendario C che si è rivelato il più interessante del gruppo.
Un ringraziamento particolare al Dott. Paolo Caputo, responsabile dell’Ufficio Archeologico di Cuma, per la sua estrema disponibilità e competenza che mi hanno permesso, tra l’altro, un utile approfondimento sulle presumibili collocazioni temporali e storiche del materiale studiato.
Note esplicative e bibliografiche:
1) Mircea Eliade – Trattato di Storia delle Religioni, p. 159. Torino 1976.
(1a) dròmos (dromoV), corridoio
(2) Nedim R. Vlora – La misura del tempo nell’Antico Egitto, nota 18, in Giornale di Astronomia, vol. 21 n.1, marzo 1995.
(3) Fred Hoyle – L’ Astronomia, pag. 79-80, Firenze, 1963
(4) P.M. Grand – Arte Preistorica, fig. 76 – Milano, 1967
(4a) Steatopigia, conformazione del bacino caratterizzata da fianchi ampi e grassi; “dalle grasse natiche”.
(5) P.M. Grand – op.cit., fig. 78. La Venere di Laussel risale al Gravettiano (Perigordiano superiore): 23.000 anni a.C.
(6.1) J. Jelìnek – La grande enciclopedia illustrata dell’uomo preistorico, pag. 473. – Praga, 1975
(6.2) P.M. Grand – op. cit., pag. 84
(7) Marcello Piperno – Origini dell’arte, in Archeo Dossier n.4 – Novara,1985. Pagg. 16/17
(8) André Leroi-Gourhan – L’evoluzione dell’arte paleolitica – in Le Scienze, n. 3, Novembre 1968
(9) Alexander Marshak – The Roots of Civilization, p. 81 e ss. citato in Mircea Eliade – Storia delle credenze e delle idee religiose, Vol. I, pag. 34, Firenze, 1979
(10) Aristotele – Hist. animal., II, 12 Plinio – Hist. nat., XI, 82
(11) Inno Omerico ad Apollo, III, 30:
. . . . Lì vicino era la fonte dalle belle acque, ove il dio figlio di Zeus uccise la dracèna col suo arco possente…
in Inni Omerici, a cura di Filippo Càssola, Vicenza, 1988
(12) Marija Gimbutas – Il Linguaggio della dea, § 25.4, p. 288, Milano 1990.
(13) Philipp Vandenberg – Oracoli – cap.1°,Longanesi & C., 1982
(13a) nekromantheion o nekyomantheion, oracolo dei morti
(14) Marija Gimbutas – op.cit. – pag. 260, tav. XIX (Dea-Pesce), pag.259 (anfora).
(15) Marija Gimbutas – op.cit. – pag. 263, fig. 410.
(16) Marija Gimbutas – op.cit. – pag. 191, fig. 292-1.